E poi?

Abbiamo avuto recentemente la fortuna di unirci alla Evolutionary Aikido Community in uno dei suoi eventi annuali più importanti, il Riviera Seminar, che si tiene a Vevey, in Svizzera, guidato da Patrick Cassidy SenseiMiles Kessler Sensei.

Questo tipo di eventi raduna persone da Paesi, culture, stili, abitudini molto differenti tra loro e offre a tutti i partecipanti una sorta di laboratorio, nel quale ognuno è coinvolto in un processo di esplorazione basato su principi che sono trasversalmente connessi all’esperienza di ciascuno, tanto nella vita di tutti i giorni quanto nella pratica di una disciplina marziale. In un certo senso, questo tipo di eventi rappresenta il lato positivo della globalizzazione.

Immergersi nel regno dei principi può certo spiazzare quel tipo di persone che vedono nelle arti marziali qualcosa di connesso esclusivamente alla capacità fisica di sottomettere un avversario.

Di certo richiede lo stesso coraggio che serve per fronteggiare un aggressore. O forse anche di più.

Perché, mentre il livello della pratica fisica è comunque mantenuto alto grazie a esercizi innovativi, al partecipante è chiesto di sondare in profondità la propria capacità di riconoscere i limiti, di far propri i principi, impersonandoli; di fronteggiare le proprie paure e di ampliare i confini di quella che possiamo definire la propria “comfort zone”.

Il tema del seminar del 2018 era  “Non-duality in the midst of conflict”, la non dualità nel mezzo del conflitto, che ha voluto dire un sacco di cose, perché ognuno di noi -non solo i partecipanti- fa esperienza ogni giorno di situazioni in cui la dualità può far sorgere contesti scomodi nelle relazioni. E, ovviamente, anche nella relazione con se stessi.

Riconoscendo che una relazione può costruire un “noi” che non è la semplice somma di due identità separate, ognuno può sperimentare che è veramente possibile evolversi e rendere la relazione, qualsiasi relazione, fertile.

Evolvere significa che c’è sempre posto per porre la domanda “E poi?”

Tutti noi siamo equipaggiati fin dalla nascita con una sorta di firmware preinstallato: sono i nostri istinti di sopravvivenza di base che emergono quando il nostro sistema è sotto una minaccia improvvisa.

Tutti noi abbiamo fatto esperienza di falle nella nostra “comfort zone”  che ci hanno portato in una condizione di lotta, di fuga, di immobilizzazione (note come “fight, flight, freeze”). Forse abbiamo combattuto, forse abbiamo provato a scappare, forse siamo rimasti lì come una statua di marmo, tentando di ignorare il problema.

E la reazione che abbiamo avuto in tali momenti, senza dubbio, è stata ispirata ad attitudini di passività. O a una certa aggressività di fondo. O a una modalità comportamentale passiva-aggressiva.

Questo è quello che siamo. Ma per fortuna c’è sempre la possibilità di domandarsi “E poi?”.

Io riconosco che la mia polarità spesso mi porta, nella vita, a reagire in un certo dominio all’interno degli stati descritti in precedenza. Ma se volessi cambiare, che cosa succederebbe…Poi?

Il “poi” vuol dire iniziare a chiedersi seriamente chi io sia. Chi sono nelle relazioni in cui mi trovo. Chi sono nel progetto di vita che vorrei sviluppare. Chi sono quando il mio corpo e la mia voce e tutto quanto fisicamente esprimo agisce in un modo che, in definitiva, la parte più profonda di me disapprova.

C’è sempre una finestra di cielo puro, oltre qualsiasi nube.
Nello stesso modo, c’è sempre un “poi”, che ci libera dal peso delle nostre paure.

Che  aggiunge valore ai nostri momenti, potenziando l’attenzione sulle cose umili e sulle faccende quotidiane che dobbiamo svolgere.

Non è un’aggiunta di altri carichi, di altre preoccupazioni in una vita in cui talvolta non siamo capaci a fare i conti con i problemi che già abbiamo…

Piuttosto è aprirsi a una sorgente infinita di forza. E’ riconoscere che, oltre la superficie, come onde in un oceano, siamo connessi tutti proprio alla stessa identica, perfetta, identità.

Sì, ci sarà sempre qualcosa che ci infastidirà e ci farà male. Ma il dolore non sarà l’ultimo a rimanere in piedi nel combattimento. La sofferenza cederà il posto a una più ampia compresione e a un nuovo significato, esattamente come tutte le cose belle di cui siamo circondati risplenderanno di nuova bellezza.

Questi pensieri ci hanno portato a ricordare i versi di  John Keats nella poesia Bright star, would I were steadfast as thou art:

e guardando, con le palpebre schiuse eternamente
come eremita paziente ed insonne
della natura, le mobili acque
nel loro compito sacerdotale
di pura abluzione intorno ai lidi
umani della terra

Noi siamo mobili acque, onde che hanno un compito “sacerdotale”, quello di aumentare la consapevolezza, purificando le nostre intenzioni, facendo risplendere le nostre esistenze.

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